domenica 15 gennaio 2017

Lettera dal passato

Scrivo questa lettera a te che vieni dal futuro.
Scrivo questa lettera per parlarti del mio presente.
Non ho una spiccata cultura, non viaggio molto, o almeno non fisicamente.
Conosco poco del mondo, perciò spesso mi sento banale, una pedina fuori posto che pensa di potersi muovere in diagonale e mangiare chi gli sta davanti. Un illuso.
Tuttavia non è una buona ragione per tacere, per conservare e sopprimere i pensieri.
Ti scrivo questa lettera perché l'idea di poter comunicare con il futuro mi fa piangere di meraviglia. Trovo meraviglioso tutto ciò che ha la capacità di perdurare nel tempo, che necessita di un solo istante d'ispirazione per essere inciso e tutta l'eternità umana per essere lodata o disprezzata. È ciò che provo quando osservo un dipinto rinascimentale, un edificio medievale, un vulcano che sovrasta l'orizzonte, la traccia di un fossile.
Passerà anche questa notte, come tutte le altre notti, e si perderà nello scorrere del tempo finché non arriverà qualcuno dal futuro e dirà: in quelle notti di Gennaio egli ha inciso queste parole, ed ecco che futuro e passato collidono nel presente.
Perciò ti scrivo questa lettera.
Vorrei parlarti di come vedo il mondo, di come un ragazzo di 25 anni ha finalmente calato l'ancora nell'infinito e ha accettato di credere in qualcosa. Nel mio presente, credere in qualcosa è estremamente difficile. Fino a ieri avrei detto che è addirittura impossibile.
Dalla più piccola delle banalità alla più grande delle tragedie, dalle sfortune personali alle guerre lontane di cui si sente spesso parlare, vagavo come un folle nel vuoto della vita, un'anima solitaria, egoista, capace soltanto di osservare, scrivere, ridere, piangere, ignorare. Bastava un po' di vento contrario e la mia barca si ribaltava, calavo a picco nell'oceano e mi abbandonavo alla corrente. Prima di tornare a galla passavano giorni, spesso mesi.
Vorrei parlarti di cosa provo quando passano in televisione il cadavere di un bambino morto annegato, disteso su una riva, su un set fotografico da prima pagina. Vorrei parlarti dei denti stretti, degli occhi gonfi, della fragilità delle cose. La mia fede è sempre stata fragile, una parte di me desidera ancora che Dio esista davvero, che possa punire e perdonare, donare la pace eterna. L'altra parte di me desidera solo ripudiarlo.
Vorrei parlarti di cosa provo quando la notizia dell'ennesima strage mi fa mancare il fiato, e vorrei parlarti di come l'avidità, l'egoismo, il pensiero di non essere tra le vittime, di non essere il carnefice, mi ricorda che posso tornare a respirare, che non ho colpe.
Vorrei parlarti delle ragioni che spingono gli uomini al conflitto, alla guerra, purtroppo non le conosco. Ti dirò di più: non vorrei mai conoscerle. Le ragioni giustificano ed io non voglio giustificare il terrore, non voglio farne parte.
Vorrei parlarti di queste notti passate a scrivere mentre gli altri sono fuori a divertirsi, a corteggiare le donne che amano o chissà cos'altro. Non cerco risposte, spesso penso semplicemente che le cose accadono e basta, che non bisogna chiedere al sole di sorgere perché si ha paura del buio, che il buio non ha colpe. Vorrei poter essere il buio, o il sole, o la luna, o una roccia, o la brezza che accarezza il volto del neonato morto sulle rive del mare.
Di tutto questo, vorrei parlarti, ma sono piuttosto sicuro di non conoscere le parole giuste, quelle che non mi fanno sembrare o troppo stupido o troppo altezzoso. Perciò lascia che questo testo sia semplicemente "questo testo". Un testo che desidera comunicare con un futuro qualsiasi.
Sappi, perciò, che il mondo di oggi non ha ancora compreso l'essenza dell'infinito e il volto del vero Dio che tutti dovremmo, in un modo o nell'altro, lodare.
La storia. È la storia che giudicherà le azioni dell'uomo del presente, è la storia il vero Dio che ci guarda dall'alto del tempo, ed essa non perdona, non è misericordiosa, non ha un bianco paradiso ma ha bianche pagine.
Nel mio futuro, nel tuo presente, quelle pagine saranno piene di fatti, di verità e supposizioni. Quando leggerai di noi spero che il tuo, nei nostri confronti, non sia un giudizio di sfiducia o di rimprovero.
Tuttavia non ho mai amato la speranza, né l'ho mai attesa.
Se mi chiedessero: a chi affideresti la tua speranza?
Io risponderei: alle parole del passato.
Perché sai, nel mio presente si commettono spesso gli stessi errori del passato. Siamo intrappolati nella nostra memoria a lungo termine e non vogliamo più credere alla storia, ai libri, alla fantasia, alle fiabe, all'infinito; vogliamo soltanto credere in un solo Dio. Perché cerchiamo colpevoli e non soluzioni, e quando cerchiamo soluzioni vogliamo che siano soluzioni semplici e le applichiamo anche ai problemi complessi. Dio interpreta la parte del colpevole per chi cerca sfogo, e della soluzione semplice per chi rincorre la salvezza.
Io ho smesso di cercare colpevoli ma non sono neanche capace di trovare soluzioni complesse.
La mia fede è diventata l'infinito, e nell'infinito ogni cosa, anche l'impossibile, diventa possibile. Diffidate da ciò che sembra: non è ottimismo. Non sarebbe da me. Io  trovo conforto nel pessimismo, nella sfortuna, nel nero pece, nell'aria viziata, nell'incomprensione e nelle illusioni. Il mio più grande desiderio è annegare nelle illusioni, nelle infinite possibilità che in questo mondo, in questo presente, potrebbero accadere ma non accadranno. Solo pensandole, solo immaginandole, queste cose bellissime accadono nell'infinito. Ed ecco che anche colui che è un illuso può trovare conforto.
Vorrei donare a questa lettera un finale degno, o perlomeno decente ma non ci riesco. Potete, tuttavia, immaginare che lo sia.
E da qualche parte, nell'infinito, sicuramente lo è.

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