lunedì 18 gennaio 2016

Lettera d'amore a un lieto fine



È quasi un anno che abbiamo smesso; smesso di essere intimi, di spogliarci, di condividere emozioni e respiri, sussulti, battiti. 
Eravamo l'uno la dipendenza dell'altro. 
Non riuscivo, pur sforzandomi, a immaginare una vita senza te, senza quelle notti in cui, spogli di carne, ossa e desideri impossibili, facevamo l'amore. 
E lo facevamo per ore. 
Spesso anche fino all'alba. 
Non ci importava di niente, degli impegni, della sveglia che di lì a poco avrebbe suonato, delle stupide guerre che si susseguivano lontane e vicine, fuori dalla stanza e fuori dal paese, dei problemi, delle banalità o di correre più veloci degli altri. 
Niente. 
Sognare insieme era l'unica cosa che contava davvero. 
Il nostro legame era indissolubile, inscindibile, immortale. 
Quando i nostri occhi si incontravano, il tempo si congelava, si sfaldava. 
Lui, che è la forza maggiore, che è Divina onnipresenza e onnipotenza, che ha permesso a entrambi di crescerci, di viverci e di ucciderci. Non è una bugia. Anche uno come lui diventava un concetto insignificante, superfluo, forse anche un po' deleterio. 
Se il tempo morisse anch'esso, pensavamo, così come tutto il resto quando i nostri sogni diventano uno soltanto, l'eternità non sarebbe più un traguardo irraggiungibile. 
Era quella la nostra ricerca, il nostro scopo. 
Uccidere il tempo, distruggere il mondo e con esso l'intero universo; per infine ricrearlo. 
È quasi un anno che abbiamo smesso; smesso di scriverci, eppure, quando rileggo le nostre vecchie lettere, mi sento ancora come quel giorno, come nel 2009. 
Era la prima volta che ti vedevo. 
Un sogno labile, effimero, rovente, che sancì questo fugace eterno legame, durato per oltre 5 bellissimi anni. Ma adesso il tempo ha vinto, di nuovo, sulle nostre speranze, così come vinceva tutte le mattine, con il levarsi del sole, insieme a quel bastardo bisogno di dormire. 



Chiedo scusa. 
No, hai ragione. 
Sono un ingrato. 
Sono uno stupido. 
Mi succede sempre più spesso. 
Dimentico i meriti, dimentico tutto. 
Ed è colpa tua. 
Mi hai riempito la testa e il petto di parole, di promesse, di emozioni, finché, sazia, hai deciso di abbandonarmi, trasformandomi in un involucro vuoto.
Ma non credere di essere la sola fortunata, la sola benedetta, perché dopo che sei andata via ne sono seguite delle altre, seppur brevi e spezzettate, seppur incapaci di colmare quel vuoto. 
E ho amato anch'esse ma dopo la nostra storia, dopo una così travagliata avventura, ho imparato a non fidarmi più di quelli come te. Non mi fiderò mai più della Scrittura; non mi fiderò mai più dei libri.





È quasi un anno che la saga di Gheler l'esploratore ha trovato il suo epilogo. Nella scrittura, non nella pubblicazione. Lo so, sembra ancora più stupido adesso; ma è la verità. 
La rileggo spesso, insomma, siamo ancora in buoni rapporti, voglio dire, e quando lo faccio è sempre come se fosse la prima volta. 
Nemmeno gli amici o le donne che ho amato, mi hanno fatto star male così tanto dopo un addio. Mi manca parlare di lui, mi manca parlare dei legami, parlare degli Etne, di Nuria; dei Draghi. 
Mi manchi, Gheler l'esploratore.






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