mercoledì 7 dicembre 2016

Avrei voluto

Avrei voluto amarti di più,
continuare a rincorrerti.

Avrei voluto saper suonare qualcosa,
avrei voluto saper cantare,
raggiungere il cuore delle persone in un istante;
340 metri al secondo già mi bastano.

Avrei voluto saper parlare in pubblico,
mostrarmi sicuro di quel che ho da dire.

Avrei voluto conquistare i tuoi occhi,
almeno per un giorno.
Avrei voluto parlarti, sognarti,
invece le mie notti sono sature d'incubi
e le mie giornate son colme d'un vuoto che sazia.

Avrei voluto aiutare chi ne ha bisogno,
piangere piuttosto che trattenere.

La scrittura è un percorso lento e solitario,
scrivere significa errare nel vuoto e nel tutto
ed io avrei voluto, proprio adesso,
averti qui al mio fianco,
affrontare questo viaggio insieme,
piuttosto che farmi bastare il tuo ricordo.

Mi basta il tuo ricordo.
Avrei voluto amarti di più.  

Ancient love - Krt

venerdì 18 novembre 2016

Lettera d'odio - Video e Testo (commentato) di un illuso

Salute, Esploratori.

Diverso tempo fa dedicai una lettera d'odio alla scrittura; oggi, sempre grazie alla OzneProduction, è diventato un breve video lungo 2 minuti. 
La voce è di Canio Manniello.

Enjoy:



Il testo (commentato) 


Amarti è la cosa peggiore che potesse capitarmi.

 Amarti è sognare di avere le ali e svegliarsi in una cella buia grande poco più della tua testa.
(Provate a scrivere per diverse ore; tornare alla realtà, poi, non è cosa facile)

Amarti è sfiorare le vette delle montagne più alte del mondo e svegliarsi in un fosso.

Amarti è licenziare Dio per un istante e svegliarsi tra le fiamme degli Inferi.
(Poter creare, dirigere, dipingere un intero mondo; mentre fuori da quel mondo guidare il proprio destino è un po' come afferrare un pugno di sabbia e stringerla forte tra le dita, nel vano tentativo di non lasciarsela sfuggire)

 Amarti è costruire una felicità fatta di polvere e svegliarsi nel mezzo di una tempesta.
(Basta un pensiero fuori posto, il cellulare che suona, qualcuno che spezza la tua concentrazione e tutto finisce. Prima eri lì, felice, ora è bastata una sottile brezza a svegliarti dall'illusione)

 Amarti è toccare con mano il sole e lamentarsi delle dita bruciate, è soffrire ed essere incapace di accettare il dolore, è uccidere un uomo e piangere sul suo cadavere.
(Ne è la prova questa lettera. Continuo a farmi del male e lamentarsene è un po' la cura a questo dolore)

 Amarti è commettere più volte lo stesso sbaglio, lo stesso omicidio.

 Amarti è chiedere scusa per lo stesso errore, è dire ti amo a chi non ti ama e ti odio a chi non ti odia.

 Amarti è vivere in eterno sotto una lapide, sepolto da un metro di terra e cento chilometri di aria.

 Amarti è vivere in eterno in una gabbia ed essere libero soltanto di odiare.

 Amare te è...

 Amare la scrittura è la cosa peggiore che potesse capitarmi.
(Invidio chi ama ciò che lo rende libero dall'illusione)

lunedì 26 settembre 2016

Lettera alle donne che avrei voluto amare

Sono un codardo.
Un'incapace.
Non lo dico per sembrare una vittima.
Al contrario.

Da diversi anni il mio cuore batte solitario, facendosi bastare la propria eco.
Eppure, nonostante l'apatia, agli occhi è ancor più difficile comandare.

La prima sei stata tu.
Eri semplice, ti bastava poco per essere felice.
E ho pensato, un giorno, che tra il tuo e il mio poco, potevamo diventare tanto.
Ma l'ho pensato solo una volta.
Non avevo voglia di donare il mio poco per paura di restare con niente.

Poi sei seguita tu.
Troppo lontana.
Non ti ho nemmeno mai vista dal vivo.
Ancora oggi non conosco l'effetto del tuo sorriso.
Conosco solo la tua spiccata intelligenza. Le tue parole e le tue paure. Ciò che fai tutti i giorni per sopravvivere all'eterno desiderio che opera nella mente di ognuno ed è causa della sofferenza e dell'abbandono.
Non poteva funzionare.
Non può funzionare.

Con te è diverso.
Ho provato a comprenderti ma non ci sono riuscito.
Sollevi la mano e poi la tiri subito via.
Vuoi essere come tutte le altre.
Vuoi che ti si faccia una gran corte; ma io sono un miserabile.
Non ho false cortesie per te, non ho ostentazioni.
Ho solo me stesso e non ti basta.

Tu, invece, sei ancora viva nella mia mente.
Ti vedo raramente, con quei capelli assurdi che da soli bastano a mettere allegria.
E quando non bastano, c'è il sorriso.
Ti fisso un attimo e non riesco più a slegare gli occhi da quella chioma ribelle, dalle sonore risate, dalle labbra che battono le parole.
Ma non ho né il coraggio né la voglia di avvicinarmi.
Di salutarti.
Di comprenderti.
L'ho già fatto altre volte e adesso la cosa mi annoia.
Che poi è sempre la solita routine; presentarsi, dire qualcosa di stupido, farla ridere è importane, offrirle da bere, parlare del più e del meno, ascoltare (ascoltare è ancora più importante) se si accorgono che sei uno che sa ascoltare, hai già buone possibilità.
Invitala a uscire di nuovo, questa volta da soli, cerca di rendere ogni istante speciale, non dimenticare le pause; mai andare di fretta. Il fuoco rovente muore prima di quello che brucia lentamente.
Non ho interessi in tutto questo.
Vorrei amarti quando ti vedo ma sono uno che guarisce in fretta.
Eppure meriti un dono.
Adesso sei parte di un testo.
Un testo che mi ha rubato del tempo.
Ti ho dedicato del tempo, un'insignificante parte della mia vita.
Spero apprezzerai; nient'altro farò per te.
Perché mi basta l'eco del mio cuore, eco che incide parole come queste.

Mi bastano parole come queste.

White Love
Di Krt

lunedì 19 settembre 2016

Lettera alla noia



Sapete, di solito uno scrive quando è ispirato, quando ha qualcosa da dire. 
Stanotte provo a fare l'esatto opposto. 
Scrivo immerso nel disagio. 
L'anima ripudia l'arte. 
Mi tremano le dita. 
Non voglio scrivere, non ho nulla da dirvi.
Ma ci provo comunque. 
Odio questa mia idea. 
Il sangue ribolle, la testa rifiuta le parole. 
Ogni colpo sulla tastiera è pari a un coltello che gira e rigira nella stessa piaga. 
Respiro.
Sospiro. 
Cerco di darmi un contegno. 
Un obiettivo. 
Non ne ho nessuno. 
Forse il disagio. 
Forse la noia. 
Penso che la noia sia per pochi. 
Per quei pochi che sanno amare solo una cosa alla volta.
Io so amare solo una cosa alla volta.
Per questo scrivo e basta. 
Io so odiare solo una cosa alla volta. 
Per questo scrivo e basta.

BlackHole di Krt

sabato 3 settembre 2016

Lettera al futuro




Non so spiegarne il motivo ma quando penso al mio futuro, lo immagino orribile.

Se guardo avanti, vedo una morte a metà tra l'orrido e il ridicolo. Io che a quarant'anni perdo il lume della ragione, che mi cago addosso due volte al giorno, che rido senza motivo, sbavo, vomito, mi ficco le dita nelle orecchie e mi mangio il cerume; cado come un cretino e crepo nella totale inconsapevolezza.

Se guardo avanti, vedo un'infinità di sfortune, di opportunità mancate. Annego nei debiti, annego nella depressione, nell'ansia, nei ricordi e nella piscina comunale.

Se guardo avanti, vedo tutti gli altri proseguire mentre io resto immobile, coperto di polvere, di dubbi, dalla paura di fare un passo. Vedo i vostri traguardi, vi invidio, vi odio; mi giustifico banalmente. Lo faccio sempre. Non era quello che volevo. Non è quello che vorrei per me.

Se guardo avanti vedo il vuoto, l'oscurità. Per quanto provi a cambiare punto di vista, l'oscurità non cambia e tu non cambi di conseguenza.

Se guardo avanti vedo tutto ciò che non vorrei adesso. Una malattia improvvisa. Il fallimento. La perdita.

Se guardo avanti vedo la fine di questo testo. Finirò a parlare della mia dipendenza, del mio legame, finirà un po' come tutti gli altri, con mille dubbi e rancori, con me che sospiro queste lacrime e penso: chissà se piacerà. Chissà se qualcuno leggerà ciò che sto scrivendo. Chissà cosa penserà davvero, se gli sembrerò ridicolo, idiota, magari anche un po' coglione. O se nella sua testa, se nella tua testa, hai iniziato a tessere lodi. Ora come ora m'importa solo della tua sincerità. Dimmelo. Sii sincero.

Nonostante tutto, preferisco guardare avanti piuttosto che indietro. Sono abbastanza nostalgico, in realtà, tuttavia dimentico la maggior parte delle cose, a partire da quelle importanti. Ed è così che immagino il mio futuro, un futuro che cancella il passato, che lo dimentica e commette inevitabilmente gli stessi errori. Un circolo vizioso di banalità.

Per questo scrivo. Perché la scrittura si sta incidendo adesso, in questo preciso istante. Siamo io e lei, qui ed ora e tu non puoi saperlo, non sai niente, non sai nemmeno il perché. Un incontro segreto, non chiamato ma soltanto voluto; desiderato. E la scrittura resta, non è come i ricordi, come le parole dette. Lei resta lì finché tu non la cancelli. Che il vero controllo di sé è questo, decidere quando cancellare qualcosa e quando tenerlo sotto chiave. Potrò sempre rileggere questo testo. Sempre. Puoi guardare avanti quanto vuoi, mentre scrivi, ma più avanti del presente non esiste niente, nessuna strada.

Stanotte non guardo avanti, stanotte incido queste parole in qualsiasi presente dell'universo.


martedì 30 agosto 2016

Gheler l'esploratore - BOOKTRAILER e retroscena

Salute, Esploratori!
Prima di tutto, godetevi il Booktrailer completo, realizzato in collaborazione con Ozne Production!

Mettetelo a 1080p, volume al massimo, cuffie nelle orecchie, stanza buia e... enjoy!



Il Booktrailer vuole raccontare, attraverso le immagini e il testo narrato da Canio Manniello, ovvero la quarta di copertina de Il legame dei draghi, i quattro protagonisti principali della saga.


E attraverso i luoghi, anche i popoli che abitano il mondo di Gheler l'esploratore. 
Partiamo dagli Etne, le cui scene sono state girate sul Monte del Belvedere a Oppido Lucano. 






 Legati ai propri Ledah, alberi dalla particolare fioritura, gli Etne non possono provare sentimenti negativi ma il prezzo è alto; nessuno di questi può scegliere la propria strada. Immobili, legati alla natura, tra questi spicca il personaggio di Adne la ribelle, una delle poche Etne che ha avuto il coraggio di abbandonare la propria casa. In cerca di cosa? Di una freccia capace di liberarla dal legame. Per questo, uno dei detti proibiti nel Sialden, è: se esiste l'odio e il dolore, deve esserci una ragione.

Passiamo alla seconda fase di registrazione: Adeleo e Nuria.
Nuria è l'Impero dei senza-legame, e come tali questi hanno iniziato a costruire città e castelli, ad abbattere alberi, a fondare una vera e propria industria basata sugli alberi di Ledah, molto più resistenti e longevi, e questa è stata la prima vera ragione che li ha portati più volte alla guerra.




Qui siamo davanti le immense mura del Castello di Lagopesole. Adeleo è un personaggio particolare e in continua evoluzione; è uno tra i pochi Nuriani che disprezza il suo stesso popolo, che desidera un legame da proteggere come le altre razze, che piuttosto che dare la colpa alla natura stessa, punta il dito contro l'avidità di Nuria. Secondo Adeleo, è colpa loro se la natura ha rifiutato di affidare al suo popolo qualcosa da proteggere; perché non ne sono capaci. Difatti, un Dio della guerra Nuriano disse: Esistono più buoni motivi per combattere che per amare.
Ed è proprio per questi suoi ideali che sceglie di salvare Elden, azione che lo porterà a diventare il "Principe esiliato".

Da Nuria, facciamo un salto nel mare, tra gli Elielan, il popolo marino legato a una perla.


Qui siamo a Maratea; spiaggia nera.
La perla di Elden è irregolare, e questo ha cambiato il suo aspetto. Difatti, Elden non somiglia al resto del suo popolo. Ha pochissime squame, ha i capelli e preferisce il tocco della terra e del sole a quello del mare. A proposito del mare, una sua legge antichissima recita: Se la causa è l'amore, non può esistere sbaglio, giudizio o condanna. Vi sembra troppo banale? Beh, gli Elielan, vivendo sott'acqua, hanno imparato a comunicare attraverso la propria perla, capace quindi di captare i sentimenti dell'altro. Per questo motivo la giustizia e le leggi sono molto più flessibili, perché i più anziani sono sempre capaci di comprensione quando giudicano qualsiasi tipo di reato. 

Dal mare passiamo alle montagne: gli Orghen e il loro legame, i lupi di lava. Per motivi abbastanza comprensibili, non vedrete lupi di lava nel Booktrailer (ma foooorse vedrete un drago - o quasi) 





Qui siamo tra le spettacolari Dolomiti Lucane (Non c'è foto abbastanza degna che possa mostrare realmente la loro bellezza)
Gheler è cresciuto tra gli Orghen a suon di torture, perciò si presenta, inizialmente, spietato e freddo, indifferente dinanzi alle sofferenze altrui. Il suo detto è: Ogni uomo è condannato a subire la propria cattiva sorte. 

Una volta girate le scene per i quattro protagonisti, non ci restava che metterli intorno a un falò, sempre sul Monte del Belvedere. E qui, nel libro, Gheler dice quella frase al Principe esiliato e alla Etne ribelle, per rispondere ai dubbi del primo di cui vi ho narrato prima. "Anche a voi è stato imposto un legame; proteggete ciò che amate"



Sì, sono io; sì, dovevo farlo.
A questo punto avevamo tutte le scene; mancava solo la voce di Gheler. 

Mezzi professionali.
Perciò non ci restava che proiettarlo sul grande schermo! 


Il giorno 12 Agosto, presso il cine-teatro Obadiah di Oppido Lucano, il paese in cui vivo, ho presentato il terzo romanzo della saga e proiettato il Booktrailer. Inutile dire che è stato bellissimo, per quanto l'ansia mi abbia fatto penare, è proprio superare questi momenti di panico, di paura, che rende un evento unico (per quanto mi riguarda, almeno) sapete, stare dall'altra parte è facile. Mi è capitato molte volte di assistere a un qualsiasi tipo di performance che richiede un pubblico; la comprensione vera arriva quando le cose le si prova davvero, no? 
Per questo Adne è fuggita. 





E questo è quanto. 
Vi saluto, esploratori; a presto.

giovedì 11 agosto 2016

Gheler l'esploratore - Gheler || TEASER 04

Salute, esploratori.
In collaborazione con Ozne Production, durante queste due settimane usciranno diversi Teaser che racconteranno visivamente e in 30 secondi i quattro protagonisti della saga; Adne - Adeleo - Elden - Gheler.


Questo quarto ed ultimo Teaser pre-Booktrailer "parla" proprio di lui, del protagonista.
Tutte le scene sono state girate in Basilicata (qui siamo tra le dolomiti lucane di Pietrapertosa) poiché, oltre a mostrare le peculiarità delle razze presenti nella saga, era mia intenzione anche mostrarvi piccoli pezzi della mia "regione desolata", una piccola terra di mezzo quasi dimenticata.
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Enjoy:

lunedì 8 agosto 2016

Gheler l'esploratore - Elden || TEASER 03

Salute, esploratori.
In collaborazione con Ozne Production, durante queste due settimane usciranno diversi Teaser che racconteranno visivamente e in 30 secondi i quattro protagonisti della saga; Adne - Adeleo - Elden - Gheler.


Questo terzo Teaser "parla" di Elden.
Tutte le scene sono state girate in Basilicata (qui siamo sulla spiaggia nera di Maratea) poiché, oltre a mostrare le peculiarità delle razze presenti nella saga, era mia intenzione anche mostrarvi piccoli pezzi della mia "regione desolata", una piccola terra di mezzo quasi dimenticata.
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giovedì 4 agosto 2016

Gheler l'esploratore - Adeleo || TEASER 02

Salute, esploratori.
In collaborazione con Ozne Production, durante queste due settimane usciranno diversi Teaser che racconteranno visivamente e in 30 secondi i quattro protagonisti della saga; Adne - Adeleo - Elden - Gheler.


Questo secondo Teaser "parla" di Adeleo, principe Nuriano.
Tutte le scene sono state girate in Basilicata (qui siamo al castello di Lagopesole) poiché, oltre che mostrare le peculiarità delle razze presenti nella saga, era mia intenzione anche mostrarvi piccoli pezzi della mia "regione desolata", una piccola terra di mezzo quasi dimenticata.
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lunedì 1 agosto 2016

Gheler l'esploratore - Adne || TEASER 01

Salute, esploratori.
In collaborazione con Ozne Production, durante queste due settimane usciranno diversi Teaser che racconteranno visivamente e in 30 secondi i quattro protagonisti della saga; Adne - Adeleo - Elden - Gheler.



Il primo "parla" di Adne, la Etne che vive nei boschi del Sialden.
Tutte le scene sono state girate in Basilicata, poiché, oltre che mostrare le peculiarità delle razze presenti nella saga, era mia intenzione anche mostrarvi piccoli pezzi della mia "regione desolata", una piccola terra di mezzo quasi dimenticata.
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Enjoy: 



domenica 31 luglio 2016

Lettera a tutto ciò che ho abbandonato

A voi non servono le mie scuse; di quelle ne ho bisogno io. 
È che va così. 
Perdo subito interesse o amo per sempre; non c'è una via di mezzo. 
Certe cose non le controlli. 
Certe cose, per quanto ci provi, vanno così e basta. Anche quelle che hai iniziato tu. 
Le inizi e le finisci, e nel mezzo c'è sempre una vittima innocente. 
Delle volte sei tu, altre io; spesso nessuno dei due. Intervengono terzi, pretesti, vittime inconsapevoli. 
Se penso alla prima cosa che ho abbandonato nella mia vita, mi viene in mente un pupazzo di plastica senza volto. 
Forse era un personaggio della Disney. Avevo pochi anni, sei o sette. 
Di solito non ricordo granché della mia infanzia. 
Di solito non ricordo granché di niente. 
Però quel pupazzo vive ancora nella mia memoria, seppur vagamente. 
L'ho abbandonato al mare perché ne trovai uno più bello. Uno più colorato. 
Ti chiedo scusa. 
Poi, con la consapevolezza del futuro, ho abbandonato il mio sogno più grande; diventare un poliziotto. 
Da piccolo odiavo la criminalità, che nella mia ancor più piccola visione del mondo si limitava al bullismo. 
Volevo arrestare i bulli delle scuole elementari. 
Se penso alla scuola media, durante il primo anno ho abbandonato il primo falso amore per un altro ancora più falso. 
Ancora più impossibile. 
Dopo la scuola media ho abbandonato altri sogni. L'archeologo. Il pittore. L'architetto. 
Io lo volevo fare davvero, l'architetto, ma l'architettura è tutto un inganno. 
Si mostra agli occhi come un'espressione di libertà e anarchia e quando la assaggi ti accorgi che in realtà ha un sapore amaro,
che sa di canone e regole da rispettare. C'è a chi piace; a me non piaceva, quindi ho abbandonato. 
Mi spiace anche per te. 
Ho abbandonato studi, opportunità, qualche amicizia ostacolata dalla distanza, altri falsi amori. 
Ho abbandonato i miei stessi ricordi. 
Prima di scrivere questa lettera ero convinto di essermi lasciato poco o niente alle spalle. 
Invece ora mi accorgo di aver abbandonato un sacco di idee, libri scritti a metà, testi personali e parole solitarie. 
Ho abbandonato la mia fede in Dio. Ho abbandonato la voglia di riprovarci.
La voglia di dialogare con lui. 
Di ricrearlo. Un'immagine di conforto. 
Un bastone, un sostegno, una parete tra il nulla e il tutto.
Ho abbandonato la voglia di combattere. Di agire. Di cambiare il mondo. 
Penso che tutti vorrebbero cambiare il mondo ma il problema principale è che lo vuoi perché non sai come farlo. 
Non sai in cosa cambiarlo. Si ama semplicemente l'idea. 
Nel tempo ho capito che il dolore è il catalizzatore dell'abbandono. 
Basta che qualcosa mi faccia un po' del male e la lascio lì, sull'autostrada della vita. 
Basta che qualcosa minacci l'ispirazione, la tranquillità e la pace. 
La scrittura è l'eccezione che conferma la regola. 
Lei mi fa del male in mille modi diversi. 
Cambia tortura ogni giorno, ogni ora e parola. 
Mi toglie la fame, la compagnia, i desideri umani, la voglia di essere umano, di amare, di odiare; mi priva di tutto. 
Mi svuota completamente. 
Ho abbandonato il meno peggio per il peggiore dei mali. 
Sono un ostaggio, un martire, perché tutti abbiamo un carnefice; ed il mio è la scrittura. 


giovedì 30 giugno 2016

Lettera alla semplicità

Colgo quest'attimo di meraviglia. 
Penso ai sogni. 
Penso alla notte buia, solitaria. 
Ho sognato amori e orrori e poi li ho dimenticati. 
Li ho dimenticati come dimentico il vento. 
Il vento che mi scuote i capelli.
I capelli che mi accarezzano il volto.
Il volto rigato dalle lacrime.
Lacrime di gioia.
La gioia che mi coglie in attimi comuni, semplici.
La semplicità è quel che cerco.
Cerco la semplicità, non la felicità.
La felicità è sempre un passo indietro, mi basta fermarmi e lei mi raggiunge.
Raggiungermi però è complicato, spesso mi ritrovo a correre.
Corro lontano, perdo la strada e mi sveglio nel pieno della notte.
Nella notte colgo quest'attimo di meraviglia.
Penso alla vita.
Non so esprimerla.
Penso alla morte.
Morire dev'essere orribile.
Penso all'amore.
L'amore non è mai stato in cima alle mie priorità.
Penso all'odio.
Ho odiato, odio e odierò ancora ma cerco di non condividerlo con gli altri.
Penso al mare.
Il mare mi fa sentire bene, soprattutto quando non fa caldo e la spiaggia è vuota.
Penso a chi scrive.
Scrivere è la chiave che libera l'uomo dalle catene della mortalità.
Penso a chi legge.
Leggere è aggiungere anelli alle catene della mortalità, così da raggiungere luoghi distanti.
Penso a chi è distante, a chi sta partendo.
Non ho parole di commiato.
Penso a chi sta soffrendo, a chi è triste.
Non ho parole di conforto; non stanotte.
Stanotte colgo quest'attimo di meraviglia e penso ai sogni che nascono nell'attesa della solitudine.
Penso che stare da soli è semplice, ed io cerco la semplicità.



mercoledì 22 giugno 2016

Sospiro lacrime



Stanotte sospiro lacrime di ricordi. 
Penso a come sono adesso, in pace, capace di esprimere questi sospiri. 
Penso a com'ero prima, un istante fa, davanti a lei, davanti a voi. 
Sospiravo lacrime amare. 
Non volevo esserci. 
Non volevo esistere. 
Mi chiedevo la ragione di quel mio esserci. 
Mi chiedevo la ragione di quel mio esistere. 
Vedevo ciò che facevo dalla luna e pensavo. 
Pensavo; perché lo sto facendo? 
Pensavo; perché lo sto pensando?
Sentivo di voler piangere quelle lacrime.
Basta sospirarle. 
È ora di piangerle.
E ieri, quando le lacrime sospirate sapevano di felicità.
Ero di nuovo sulla luna. 
Perché son qui?
Perché esisto?
Lei mi parlava ed io ero felice. 
Non parlava di niente, non parlava di cose importanti. 
Ma io ero felice comunque. 
Ero felice anche quando parlava lui, e lui, e lui, e lei, e poi di nuovo lui. 
Una felicità banale, facile. 
Quella era la più facile tra tutte le felicità. 
Ma io avevo voglia di piangere comunque.
Sospiravo lacrime di gioia.
Gli sguardi delle persone mi uccidono sempre.
Le loro parole mi annientano. 
Resto disarmato e sospiro lacrime di rimpianto. 
Non sono bravo con queste cose.
Non sono bravo a parlare, a sorridere di getto, a dire bugie. 
Sono un bambino appena nato.
Scopro per la prima volta il mondo.
Lo scopro per la prima volta tutte le volte che lo vedo.
Mi guardo allo specchio; ci trovo un miserabile.
La miseria è il pane della coscienza. 
Sospiro lacrime di coscienza. 
Sono un miserabile. 
Piango per ogni sospiro e mi va bene così.


mercoledì 8 giugno 2016

Super-Mega-Fast-Giveaway

Salute, esploratori.
Poiché mi sento particolarmente generoso e in occasione della prossima uscita, "la guerra dei quattro eserciti" terzo volume cartaceo della saga di Gheler l'esploratore (ad oggi disponibile soltanto in versione ebook) che prenderà vita materiale circa verso fine giugno, vi propongo un Super-Mega-Fast-Giveaway.
Di cosa si tratta?
Semplice.
Non condividerò questo post in nessun social, soltanto chi è iscritto al blog potrà vedere (e ricevere) in regalo il secondo volume, L'isola di Eben, completamente gratis direttamente a casa.
Come fare? Beh, è un Super-Mega-Fast-Giveaway, perciò il primo che commenta (inserendo una mail dove contattarla per ricevere l'indirizzo) vince.
Go!
PS: (poiché Blogger condivide in automatico su google+, vi assicuro che controllerò personalmente; verrà considerato vincitore il primo iscritto che commenta)

War is coming.

sabato 7 maggio 2016

S-contrasti

-  25 Aprile

Non esiste il freddo o il buio; dicono che il freddo è mancanza di calore e il buio è mancanza di luce e che quindi il male è mancanza di bene. Sembra quasi che siano le mancanze a gestirlo, questo mondo, ma le mancanze sono assenza di presenza, o la presenza è assenza di mancanza? Non lo so proprio. Magari conosciamo il valore della libertà proprio grazie alla sua mancanza, che diventa spesso oppressione. Sembra che ogni generazione debba avere una propria guerra, come se fossimo incapaci, senza di essa, di comprendere l'uguaglianza che è mancanza di diversità, l'odio che è mancanza d'amore e l'egoismo che è mancanza d'altruismo. Dimentichiamo ciò che ci è comune, ciò che, senza volto, carne e ossa, fa di ognuno un uomo vero. Dimentichiamo la mancanza del desiderio comune, la mancanza del pensiero univoco, che se dentro siamo fatti tutti allo stesso modo, che se dentro abbiamo tutti sangue, non tutti rispondiamo uguale agli stimoli, alle domande e alla libertà negata.
Come disse Terzani, da che mondo è mondo non c'è stata ancora la guerra che ha messo fine a tutte le guerre.  

giovedì 31 marzo 2016

Lettera alla felicità

C'è chi ti reputa essenziale; è lo scopo della vita, dicono.
C'è chi ti insegue assiduamente.
Chi fa di te l'unico traguardo possibile. 
Chi ammira quei pochi istanti in cui arrivi, strappi loro un sorriso e te ne vai.
Io no. 
C'è chi ti vede nei soldi, chi ti vede nell'amore, nell'amicizia, in un viaggio, in una sigaretta, nella natura, in una notte di sesso, in una mattinata di sole, nel mare, nella neve che chiude le scuole, nello stipendio a fine mese, negli occhi del figlio appena nato, nel sorriso di una moglie, nel caldo respiro di un'amante; io no. 
Raramente posso permettermi certi lussi. Io ti vedo nelle cose più banali e tuttavia non riesco comunque a cogliere i tuoi fiori.
Ti vedo nella solitudine, nel buio, ti vedo nel niente, nella noia, nella strada che fugge senza un scopo, nelle persone che mi passano accanto senza salutarmi, nell'aria viziata, nella luce dello schermo che mi brucia la faccia. Ti sento nel suono dei tasti che battono questo insulso testo. Ti vedo lì dove gli altri ci vedono l'abitudine, la normalità. 
Ma vedo anche le tue necessità. Chiedi sempre di più, le briciole non ti bastano. Allora accade che, di tanto in tanto, ti vedo anche in una serata diversa, ti vedo quando tutto va bene, quando la mente non si perde in strane domande, ti vedo negli occhi di quella ragazza che non riesco a smettere di fissare. Penserà che sono fastidioso, penserà che voglio provarci, penserà che sono un maiale. In realtà sono solo felice. Troppo felice. 
Quando mi perdo nella natura, quando respiro aria pulita, quando trovo qualcuno con cui scambiare idee ed opinioni; in questi istanti sono troppo felice. E quando sono troppo felice, quella felicità si tramuta in paura, in terrore. Quando sono troppo ebbro di te, finisce che perdo il controllo sulle parole e sulla memoria, finisce che ti rovino, ti distruggo, ti faccio involontariamente a pezzi; a brandelli. Non sono fatto per i sentimenti troppo forti, non so gestirli. Capirai, quindi, perché preferisco vederti nelle cose banali, incontrarti raramente, come fanno due amanti, come fanno il sole e la luna durante le eclissi. Non perché non ti apprezzo, non perché non ti amo. Perché mi uccidi. Mi trafiggi il petto, mi strappi la ragione, mi rendi folle, nevrotico e possessivo. La felicità è come una droga, più sei felice più vuoi continuare a esserlo e quando smetti, quando smetti è la fine, e smetti sempre. Smetti perché non sei tu a decidere. Smetti perché le cose non vanno sempre nella stessa direzione, e per fortuna, aggiungerei.
Per questo ho smesso di cercarti. Molte persone ti reputano essenziale; io no.
Non sei essenziale
Non ti ho mai assiduamente inseguita.
Non faccio di te l'unico traguardo possibile.
Non ti ammiro per quello che sei, perché per me sei sopravvalutata. Sei deleteria.
Lo dico sempre, è una frase che ripeto spesso a me stesso, ad esempio quando guardo una donna di quelle che ti fa mancare il respiro, di quelle che le vedi sorridere e il cuore ti esplode nel petto. Sei troppo per uno come me.
Sei troppo per me.
Restiamo amici.
No.
Soltanto conoscenti.
Quando ti vedrò passare ti saluterò con un cenno della testa, poi tornerò a fissare il vuoto.
E sarà così per sempre.



domenica 20 marzo 2016

Lettera alla morte

Ti penso sempre.
Non riesco a farne a meno.
Quando sono in macchina ti immagino sopraggiungere violenta, dopo un incidente o un attacco di cuore. Mi vedo schizzare fuori dal parabrezza, finire nella corsia opposta e morire spappolato tra le ruote di un camion.
Ti penso mentre cammino per strada, sotto la pioggia, con le cuffie nelle orecchie. Non vedo l'autobus che passa, mi risveglio in ospedale, senza più il dono della parola e chiedo, attraverso impulsi che disegnano lettere su un monitor, l'eutanasia.
Ti penso prima di andare a dormire. L'indomani non mi sveglio, qualcosa mi blocca il respiro nel pieno della notte, togliendomi la possibilità di chiamare aiuto.
Ti penso quando salgo le scale di fretta, perché sono in ritardo. Sento il cuore esplodermi nel petto, il sangue inondare ogni parte del mio freddo corpo e fuoriuscire copioso dagli occhi.
Ti penso quando sono solo con un altro uomo, per strada o in un vicolo, alla fermata dell'autobus o in un parcheggio vuoto. Lo vedo scagliarsi contro di me con un pugnale, trafiggermi il petto cento volte, rubarmi quei pochi spicci che ho in tasca e fuggire.
Ti penso sempre. Sarei uno stupido se lo negassi. Non lo faccio perché ti amo, e tanto meno perché ti odio. Paura lo è in minima parte, è più che altro ciò che ne consegue.
Gente che piange.
Gente che prova pena nei tuoi confronti.
Gente che si pente di averti ignorato in quel freddo giorno d'inverno e in quella calda sera d'estate. In quella profumata alba di primavera e in quell'ombroso tramonto d'autunno. Per un istante sei tu il protagonista del mondo. Sei lì sul podio e tutti pensano a te, non a lei, alla morte.
Una mezza vittoria.
Ti penso sempre.
Lo faccio perché ho così tanto ancora da non dare, da non ricevere e da non custodire, da non creare e da non urlare. Ho così tanto da non fare, da non scrivere, da non leggere, da non ascoltare.
Per questo ti penso sempre. Perché so che tu pensi sempre a me. E continueremo finché un giorno, entrambi, decideremo di smettere.
Che è proprio quando smetti di pensarci. Che è quando gli altri smettono di pensarti, è solo allora che puoi dire di essere davvero morto. Il resto è carne, ossa e cenere.
Ti sto pensando; proprio adesso. In questo istante. In questo battito di cuore.
Ti vedo sopraggiungere violenta, mentre sono qui a scrivere di te, con la paura di lasciare questo testo incomp


venerdì 26 febbraio 2016

Una finestra sul vuoto

Sono le 03:42 di notte.
C'è un silenzio confortante che spezzo con un po' di musica.

Parto con un pezzo dei Sigur Ros, Olsen Olsen; mi rilassa.


Mentre ascolto la canzone, immagino la luce dello schermo del PC che mi disegna spigoli neri sulla faccia. Vedo chiaramente le radiazioni che mi sciolgono la pelle, l'elettricità che viaggia nei circuiti dopo ogni colpo sulla tastiera. 

Invidio chi scrive ancora a mano, chi sorride quando trova un segno d'inchiostro sulle dita, chi in questo momento respira aria pulita.

L'aria è viziata, non apro perché fuori si gela. Preferisco respirare aria viziata che aria fredda.
Penso che se ci fosse qualcuno dall'altra parte dello schermo, la mia faccia lo spaventerebbe a morte. La mia faccia controluce è abbastanza spaventosa.


Il secondo pezzo che ascolto è di Gary Jules. Mad World è la penultima della lista. La lista è fatta di tre canzoni che ascolto consecutivamente e sempre nello stesso ordine prima di andare a dormire; è una sorta di rituale. Non dormo se prima non faccio il mio rituale. Serve a rilassarmi, a farmi passare il malumore, quello che puntualmente arriva dopo che finisco di scrivere. Dopo che ho finito di scrivere, mi sento svuotato, forse anche un po' stanco. Dopo che ho finito di scrivere, mi pongo diverse domande, per lo più stupide. Ad esempio mi chiedo perché ho passato queste due ore a scrivere. Non riesco mai a spiegarmelo, quasi fosse un atto naturale, involontario, senza il quale so di non poter vivere. 

Mi chiedo se ho mai amato veramente qualcuno. Se non è stato, in realtà, amore verso ciò che provavo, piuttosto che amore per l'altro. In fondo viene tutto da dentro, anche gli stimoli esterni; viene tutto da dentro. Questo siamo. Siamo contenitori che cercano di esternare quello che custodiscono all'interno. Penso che se siamo dei contenitori, allora ci deve essere per forza qualcuno che ha meno da esternare, penso che c'è anche qualcuno che magari ha poco e niente da mostrare. E avendo poco e niente, uno dà quel che può e si sente già soddisfatto, quindi felice. 


Mi chiedo, adesso che parte l'ultimo pezzo, perché questa finestra è improvvisamente vuota. L'ultimo pezzo è Hurt, di Johnny Cash. Questa finestra da cui guardo è vuota, si affaccia nel vuoto, quando fino a poco fa, dalla stessa finestra, guardavo delle montagne. Guardavo dei fiori. Guardavo delle persone, degli animali, guardavo il cielo e le nuvole e le stelle. Poi ho smesso di scrivere e questa finestra si è spenta. Adesso è una finestra che da sul vuoto. 

Penso che il vuoto un po' mi rispecchia. Se ne sta lì a far niente come me. Se ne sta lì a osservare, come me. Se ne sta lì immobile, a non credere in niente, ad attendere qualcosa, qualsiasi cosa. Ad aspettare che qualcuno lo attraversi. Che qualcuno veda in lui un luogo in cui costruire, un luogo da colonizzare, da riempire. Il vuoto mi fa sentire meno solo. 

Poi spengo lo schermo e mi metto a dormire.  


martedì 23 febbraio 2016

Le buone idee nelle mani sbagliate non sono più buone idee

Salute, esploratori!
Oggi sono qui per parlarvi di un sito che ho scoperto pochi giorni fa, tramite amici scrittori che condividevano su facebook i loro scritti.
Wattpad è un sito \ applicazione che permette a chiunque di pubblicare le proprie opere gratuitamente, mettendole, in questo modo, a disposizione di chi desidera leggerle. Un'idea grandiosa che ho da subito accolto con interesse, quindi mi sono iscritto all'istante.
Potete trovarmi QUI, nel caso vogliate seguirmi.

 Una volta iscritto, aggiunto questo, aggiunto quello eccetera, ho poi fatto un giro sull'enorme catalogo che gli utenti Italiani hanno pubblicato; un po' sono rimasto scandalizzato, un po' la cosa non mi ha sorpreso. Lasciare un totale libero arbitrio vuol dire permettere a chiunque di scrivere e pubblicare, un po' come l'auto-pubblicazione, che se per certi versi reputo positiva, molto positiva, questa volta un po' mi sono dovuto ricredere.
Ancora oggi, non capisco perché gli adolescenti abbiano questa innata capacità di rovinare tutto con le loro assurde pretese e i loro assurdi desideri. Sono stato anch'io adolescente, di certo non ho saltato la fase, anzi, per certi versi, giudicando la mia passione per il fantasy, per i videogame, per il gioco da tavolo, per le favole e per tante altre cose che la società vede come strettamente adolescenziali (ma questo non vuol dire che lo siano) un po', adolescente lo sono ancora.
Il punto è un altro.
Traviati dalla società e dal desiderio di crescere prima del dovuto, gli adolescenti di oggi stanno letteralmente ricoprendo di sterco ogni cosa su cui posano le mani. Pensano di sapere già tutto, tutto sulla vita, tutto sull'amore, sul sesso, sul dolore (soprattutto) e non riescono proprio a tenere questi per lo più falsi saperi per sé, come facevamo noi un tempo, prima dell'avvento così straordinario di Internet.
Ed è così che una buona idea come Wattpad oggi è letteralmente ricoperta di "magnifiche" opere adolescenziali, relativamente tutte molto simili, in cui si fa a gara su chi sia il personaggio più figo, su chi starà con chi, su quanto sia bello ribellarsi e quanto sia bello fare sesso a tredici anni con un quarantenne. Per dirne una. Se devo dirne un'altra, potrei citarvi gli idoli sbagliati che questi elevano a maestri di vita, idoli che se un tempo cambiavano il mondo, oggi cambiano l'umore dei ragazzini con video stupidi e sguardi azzurri, limpidi, con frasi fatte e "uno stile fuori dal comune" nel vestirsi.
Da molto tempo ormai tutto questo non mi meraviglia più di tanto, basti pensare che opere del genere, oggi, le scrivono anche persone adulte, e che solitamente vendono anche piuttosto bene. Comunque, ripeto: il punto non è questo. Sono un forte sostenitore della libertà di pensiero e di scelta, perciò la mia critica non mira in nessun modo (anche perché non ne sarei capace) a eliminare tali diritti agli adolescenti di oggi. Il punto è che in questo modo, in questo mondo fatto di follower e following, le opere che valgono davvero annegano tra mode, tra star del web e promesse d'intrighi amorosi, quelli banali che tali autori adolescenti trovano invece estremamente romantici, o di frasi fatte e sguardi da bellocci.

Chi non sa farsi spazio, chi non sa in che modo apparire, in che modo presentarsi o presentare un'opera (e questo vale ovunque, non solo su Wattpad) resta lì a chiedersi il perché; perché scrivere, perché anche soltanto provarci, quando il 90% della comunità del web è formata da questo tipo di persone di cui "vedi sopra". Fortuna che l'editoria vera abbia ancora delle salde basi nel materiale; l'unica cosa che mi preoccupa, è che i ragazzi di oggi saranno gli uomini del domani.
Perciò è chiaro come il sole che Wattpad e il web non siano di certo il centro del mondo della scrittura, per fortuna, e questo non si discute, ma assistere di persona a questi stupri di massa mi ha fatto riflettere e mi ha ricordato cose che già sapevo, ma che avevo deciso di dimenticare.
Poter condividere ciò che si scrive è gratificante, è una sensazione meravigliosa, ma abusare di questo grande potere che abbiamo, al contrario, crea caos e disordine. Siti come questo, che hanno alla base una grande ed innovativa idea, e possibilità come l'auto-pubblicazione, sono sì spiragli di libertà e autonomia ma questi stessi spiragli dovrebbero prima ricordare a ognuno di noi il valore della parsimonia, della pazienza, della solitudine e del silenzio. Libertà non vuol dire correre nudi per strada, libertà vuol dire sapere quando e dove farlo.

Ai posteri l'ardua sentenza.

venerdì 19 febbraio 2016

Sette giorni alla fine del mondo

Sette giorni alla fine del mondo



Tiro un colpo.
Poi un altro.
La zappa infilza la terra con tutta la violenza e la rabbia di cui sono capace.
Mi prendo cura di questo misero pezzo di terra da anni, armato di pazienza e olio di gomito. La canotta mi si appiccica al petto; sto sudando come una pecora nel deserto ma non mi fermo. Dicevo: da molti anni vivo qui con la mia famiglia, non saprei più dire da quanti di preciso. L'unica cosa che so, è che la mia famiglia continuerà a vivere qui per sempre.
Per quanto riguarda me, chissà. Mia moglie, Viola, non è certamente quel tipo di donna che un uomo sposerebbe mai. Non per l'aspetto, di quello non me ne sono mai lamentato.
Mia figlia ha otto anni, ha i suoi stessi capelli e i suoi stessi occhi. Un tempo le amavo entrambe, oggi invece sono qui a scavare.
Finito con la zappa, prendo la vanga; è proprio lungo il lenzuolo bianco che avvolge mia moglie. Adesso che il terreno è più morbido, posso scavare più facilmente. Scavo fino al tramonto, finché la buca non è abbastanza larga e profonda. Poi ci salto dentro, ci cammino un paio di volte su e giù, mi ci sdraio, girando la testa da un lato all'altro e decido che è perfetta. Quindi mi metto a ridere; una risata strana. Non so nemmeno io di che tipo di risata si tratta. Certamente non felice. Sicuramente non divertita. Comunque sia, mi rialzo, poggio la pala sul cumulo di terra e afferro mia moglie dai piedi. Lei è nel lenzuolo bianco. La tiro giù nel fosso, faccio un po' di fatica a sistemarla sul lato sinistro, forse perché è da due ore che sono qui a scavare.
Una volta sistemato il corpo, mi tiro su e con le mani dietro la schiena mi inarco in avanti; gli anni di lavoro si fanno sentire. Certe volte mi chiedo perché ho scelto questa vita, altre, faccio finta che sia stata mia moglie a sceglierla per me.
Torno su, guardo il cielo violaceo; presto sarà buio. Allora mi dico che forse è meglio fare in fretta. Mia figlia è nel lenzuolo rosa, quello con i fiori e gli orsi. Tirare lei nel fosso è molto più semplice, non mi costa fatica. La sistemo di fianco a sua madre e mi faccio il segno della croce, tanto per. Penso che è quello che lei avrebbe voluto e nonostante tutto, ho ancora un po' di rispetto nei suoi confronti.
Forse, però, dovrei parlavi di questa storia dall'inizio.
Forse dovrei dirvi che non è stata colpa mia, altrimenti mi prendete per un mostro.
Ed io non sono un mostro.

- Giorno 1
Stiamo cenando. La TV, come al solito, non prende nemmeno un canale. La lascio accesa tanto per sentire qualcosa, e quel qualcosa è il suo fruscio continuo. Mi da sui nervi ma almeno copre il silenzio angosciante. Perché, sapete, mia moglie e mia figlia non parlano mai. Penso siano mute entrambe, o meglio, penso che lo siano diventate poco dopo il terremoto, quello di pochi anni prima che ha ucciso mezzo paese.
Comunque, il fruscio della TV è sicuramente meglio del rumore delle posate che colpiscono ritmicamente il piatto. Quello, da solo, è ancora più angosciante, quindi, ogni volta che rientro dalla campagna, accendo la TV e la lascio fischiare.
La cena è la stessa da diverso tempo. Patate. Dietro le mie spalle, appeso malamente alla parete, c'è l'omonimo quadro di Van Gogh, i mangiatori di patate. Una copia da quattro soldi, mica quello originale. L'ho trovato qualche giorno prima in una delle tante case crollate o abbandonate; non ricordo con precisione. L'ho appeso e ne ho fatto un monito, una denuncia. Ero stanco di mangiare sempre e solo patate ma mia moglie, Viola, non ne capisce niente di arte, quindi ha continuato a cucinare patate.
I nostri sguardi s'incrociano sempre quando siamo a tavola, spesso ci fissiamo per delle ore, immobili come statue, finché il sonno non mi colpisce forte con un martello dietro la testa e le dico, rassegnato, di andare a letto.
Penso sia anche sorda, perché tutte le volte dovo prenderla dal braccio e trascinarla nella stanza.
Mi sono svegliato all'alba. Mi sono vestito, mi sono sciacquato la faccia in una bacinella e sono uscito di casa. Tutte le mattine saluto Stefano, il vicino, ma lui non ricambia mai. Gli chiedo se soffre ancora d'insonnia; lui si limita a fissarmi. Qualsiasi cosa gli dico, Stefano non risponde, quindi alla fine la cosa mi annoia e lo saluto, augurandogli comunque buona giornata. Le buone maniere prima di tutto.
Il campo è poco distante da casa, quindi ci metto molto poco a raggiungerlo. Lascio sempre tutti gli attrezzi all'aperto; mi fido ciecamente del mio paese.
Quel giorno non ho fatto altro che zappare, tagliando via le erbacce anche dai campi confinanti. Dopo il terremoto nessuno vuole più prendersi cura della terra, quindi ci penso io.
Poco prima del tramonto, ho raccolto delle patate e le ho portate a casa. Le ho lasciate in cucina e ho gridato a mia moglie che ero tornato. Allora sono andato in soggiorno e ho trovato lei e Aurora sedute sul divano, davanti alla TV spenta. Ricordo di aver provato dell'odio, in un certo senso. Comunque, rassegnato, mi sono messo a cucinare da solo. Ho bollito le patate, le ho messe nei piatti e sono andato in bagno. La vasca era ancora piena dell'acqua del giorno prima, quindi mi sono spogliato e ci sono entrato dentro. Un bagno veloce, è durato giusto il tempo di lavare via il sudore, poi ricordo di essermi fatto la barba. E ricordo che mentre la rasavo a zero, mi sono tagliato il mento.
A cena, mia moglie non mi ha chiesto perché avessi un cerotto sul mento. Mia figlia non l'ha nemmeno notato, credo. Come la sera prima, finita la cena, ho dovuto trascinarle entrambe nei rispettivi letti. Ero stanco, quindi mi sono girato dal lato opposto e ho dormito.

- Giorno 2
Ricordo che quella mattina mi sono svegliato più tardi del solito. Ho lavorato, ho pranzato con un panino con le patate, ho salutato Stefano, che di nuovo non mi ha risposto e quando sono tornato a casa, avevo voglia di conversare.
Ho detto delle cose alla mia famiglia. “Stefano soffre ancora d'insonnia” ho detto a mia moglie. Viola mi ha guardato negli occhi. “Lo trovo lì tutte le mattine, a qualsiasi ora, ed è sempre lì quando torno” Viola mi ha guardato di nuovo, poi ha continuato a impastare le patate con la forchetta.
Quella sera ho mandato giù più vino del solito. Ricordo che mi girava la testa, che mi sono alzato un po' barcollando e mi sono seduto sul divano. Ho guardato la TV per un'ora o due, finché, a un certo punto, ho smesso di barcollare per il vino e ho iniziato perché vedevo tutto a punti bianchi e neri. Ho trascinato Aurora nel suo letto, le ho augurato la buona notte, poi sono tornato da mia moglie e le ho detto che avevo un po' voglia di lei. Viola mi ha guardato, ha sbattuto una volta le palpebre ed è tornata a schiacciare le patate con la forchetta. È stata quella la prima volta che mi sono arrabbiato. L'ho afferrata per i capelli e l'ho tirata su, poi l'ho trascinata per il braccio nella stanza, ho chiuso la porta, l'ho sbattuta nel letto e abbiamo fatto l'amore. Anche mentre lo facevamo, lei non parlava, non gemeva, non mi diceva niente. Non sorrideva, non prendeva nessun tipo di iniziativa, eravamo lei sotto ed io sopra, io che mi dannavo, che sudavo, e lei che fissava un punto imprecisato della stanza. Quindi mi sono fermato perché la cosa non mi eccitava, ho ripreso un po' di fiato, respirandole sulla fronte, e mi sono sdraiato sul mio lato del letto. Ho spento la luce e mi sono addormentato poco dopo.

- Giorno 3
Quel giorno ho deciso di fare un giro diverso dal solito, quindi sono passato per il centro del paese. Nonostante sia prima mattina, c'è un po' di gente seduta sulle panche. Ricordo anche di un bambino, un ragazzino poco più grande di mia figlia, che gioca sull'altalena. Li ho salutati con un cenno della testa. Ho preso le sigarette dalla tasca e me ne sono fumato una. Dopo il terremoto avevo deciso di smettere ma quel giorno ho cambiato idea, quindi ho ricominciato.
È una bella giornata” ho detto al signore seduto sulla panchina. Questo mi ha guardato in modo strano. Mi sono seduto al suo fianco e ho fissato l'orizzonte per un po'. Ho fumato un'altra sigaretta, gli ho soffiato del fumo sulla faccia ma il signore ha fatto finta di niente. Allora mi sono alzato e mentre tornavo a casa, sull'altro lato della strada, ho visto la signora Teresa. L'ho salutata agitando la mano, lei mi ha guardato con un po' di confusione. “Sono io” le ho detto mentre mi avvicinavo. “Sono Noah” ma la signora Teresa ha continuato a fissarmi in quel modo. “Avete un bel vestito. Vi dona” è blu cobalto, ha dei diamanti finti come bottoni e ci ha abbinato un enorme cappello di quelli un po' vecchi, sempre dello stesso colore. Al braccio ha una borsetta della stessa seta e al collo una collana molto vistosa, che brilla sotto i raggi del sole. “Sto andando a lavoro” le ho detto infine. “Buona giornata” ho abbassato la testa e sono tornato nel mio campo di patate.

- Giorno 4
È domenica, quindi mi concedo un giorno di riposo dalla campagna. Lo passo per lo più sul divano, mezzo nudo e con il bicchiere di vino sempre pieno. La TV sfrigola, i punti bianchi e neri un po' mi uccidono la vista un po' mi rilassano e di questi tempi accetto ogni spiraglio di tranquillità, anche quella che nasconde del dolore o della noia.
Riempio il bicchiere di vino e scopro che la bottiglia è finita. Allora chiamo mia moglie, le urlo di raggiungermi. La chiamo per nome non so quante volte; niente. Afferro la bottiglia vuota, mi alzo di colpo, vado nella stanza da letto e mi metto a urlare. Lei è lì che si guarda allo specchio.
Mi gira molto la testa, quasi vado a sbattere contro l'armadio. Apro la finestra, lancio la bottiglia in strada e respiro un po' di aria fresca. Questo mi calma.
Afferro Viola dalla mano e la trascino in cucina. La faccio sedere sul divano, quindi mi siedo al suo fianco. Guardiamo insieme la TV per un po', forse dieci o quindici minuti.
Non so perché ma mi sento depresso e mi viene da piangere. Lentamente abbraccio mia moglie, la stringo forte, affondo la testa nei suoi seni e restiamo in quella posizione fino a notte inoltrata. Quando alzo la testa dal suo petto, scopro che le ho bagnato il vestito di lacrime e bava. Mi scuso, prendo un tovagliolo e lo batto sulla stoffa. Spengo la TV e le chiedo se mi ama. Le dico “Mi ami?” senza parlare, soltanto muovendo le labbra. Mi alzo, mi chino alla sua altezza e le indico le mie labbra. “Mi ami ancora?” dicono le mie labbra. Lei però mi guarda negli occhi.

- Giorno 5
Ho rinunciato a farmi capire da mia moglie e da mia figlia. Mi rendo conto, in realtà, di aver rinunciato a troppe cose nella vita. Decido di rimediare.
Esco, dico a Stefano che per quanto mi riguarda può anche morirci, d'insonnia, e vado in un negozio di vestiti. Ci sono solo due persone. La proprietaria, dietro al bancone, e una donna alta e magra, nella vetrina, che dovrebbe lavare il vetro ma se ne sta lì a fissare la strada. Mi sento un po' in imbarazzo, a dire il vero. Saluto Maria con un cenno della testa, lei solleva lo sguardo dalla rivista e lo riabbassa nell'istante successivo. Mi guardo intorno, mi gratto la testa; non ricordo la taglia di mia moglie. Comunque passo in rassegna diversi abiti finché non trovo uno simile a quello della signora Teresa, blu cobalto, molto corto e stretto, e lo porto sul bancone. Chiedo alla signora Maria il prezzo ma lei non risponde. Guardo dietro al vestito, dove c'è la targa; 150€. Dico che secondo me sono un po' troppi ma alla fine Maria riesce a convincermi del contrario. Le lascio i soldi sul tavolo ed esco dal negozio. La ragazza nella vetrina mi segue con lo sguardo.
Siccome è ancora presto, lascio la busta vicino la staccionata e lavoro un po' in campagna. Do da mangiare alle galline di Federico, saluto il cavallo di Stefano, dicendogli che gli ho portato una mela. Il nome del cavallo è Stella. Stella divora la mela in due morsi e mi ringrazia agitando la testa e le zampe.
Torno a casa prima del tramonto. Aurora è seduta sul pavimento, in cucina, mentre Viola fissa il paese fuori dalla finestra. Prendo la bambina tra le braccia e la porto nella sua stanza. La faccio sdraiare sul letto e la copro con il lenzuolo, quello con i disegni di fiori e orsi. Faccio per andare via, poi cambio idea e resto un po' a guardarla finché non si addormenta. Allora le do un bacio veloce sulla fronte e le chiudo la porta.
Prendo mia moglie per il braccio e la trascino nella stanza. La spoglio e le metto l'abito nuovo, poi mi allontano e resto incantato dalla sua bellezza. Mi siedo sul letto, mi riempio un bicchiere di vino e resto lì a fissarla per tantissimo tempo.

- Giorno 6
Non ho molto da fare in campagna, quindi torno a ora di pranzo. Pranziamo tutti e tre insieme ma sono l'unico che mangia le patate. Viola e Aurora, come al solito, ci giocano.
Mia moglie indossa ancora l'abito blu cobalto. Oggi ho deciso che non le sta bene come ieri, quindi dopo pranzo la riporto in camera e la rivesto con i suoi soliti vestiti. Le dico, poco dopo, che ho voglia di una vacanza. Lei non risponde; non mi aspettavo niente di diverso. Le dico anche che parto l'indomani, che me ne vado, che le abbandono entrambe. Che non tornerò mai più. “Piangi” le dico. “Disperati” e ancora: “odiami” ma lei non piange, non si dispera e tanto meno ha l'aria di una che odia. Stringo i pugni e i denti, mi metto a piangere, mi dispero e la odio. Mi arrabbio più del solito. Tutto quello che mi capita tra le dita, lo prendo e lo lancio contro le pareti, contro lo specchio, contro la finestra. Lei se ne sta lì immobile, impassibile, con gli oggetti che le sfiorano la pelle e i capelli.
Mi calmo quando ormai fuori è sera. Mi sdraio sul letto e ci resto fino alla mattina dopo.

- Giorno 7
Dio ha creato il mondo in sette giorni.
Io in sette giorni l'ho distrutto.
Poche ore prima ho fatto sdraiare mia moglie sul lenzuolo bianco. Lei non ha detto una parola nemmeno quando le ho coperto il volto e l'ho trascinata fuori. Con mia figlia è stato un po' più difficile. Ci ho messo più tempo perché volevo godermi quegli ultimi istanti in sua compagnia. Nemmeno lei ha detto una parola quando l'ho ricoperta di fiori e orsi.
Ho preso la vanga e le ho seppellite proprio nel nostro campo di patate. Stanco morto, ho gettato la pala sul cumulo di terra e ho guardato il cielo. Non mi sono mai sentito così libero, così felice. Sono rientrato in casa. È tutto a pezzi, qui dentro. Ci sono macerie ovunque, ci cammino sopra. Prendo il cappotto e le chiavi della macchina ed esco. La casa si regge in piedi per grazia divina ma ormai fa parte del passato, non è più nei miei interessi.
Passo accanto a Stefano. Oggi Stefano somiglia a uno di quei manichini bianchi che ci sono di solito nei negozi di vestiti. Comunque evito di guardarlo perché nemmeno lui, nemmeno la sua insonnia, fa più parte dei miei interessi.
Prendo la mia vecchia auto, faccio riscaldare un po' il motore prima di partire, accendo le luci e do gas.
Passo accanto alla signora Teresa. Anche lei sembra uno di quei manichini magri e slanciati, bianchi e fulgidi. Anche il bambino che gioca sull'altalena o il signore seduto sulla panchina. Non mi interessa più niente di loro, quindi proseguo dritto e mi lascio il paese alle spalle.

Una volta un prete mi ha chiesto di provare a vedere Dio come una persona normale. Io ancora oggi lo immagino allo stesso modo, triste, laconico, riservato e schiavo della propria immagine.
Dio ha creato il mondo in sette giorni, io in sette giorni l'ho distrutto. C'è solo una cosa che mi chiedo adesso, prima di scomparire per sempre. Mi chiedo chi, tra noi due, tra il creare e il distruggere, abbia fatto la scelta migliore.